Che Cosa Dicono I Musulmani Attacco a Parigi
Che Cosa Dicono I Musulmani Dopo L'Attacco a Parigi Articoli
Che Cosa Dicono I Musulmani Dopo L'Attacco a Parigi : come molti di voi, dopo aver saputo cosa fosse successo a Parigi, l'attacco a Charlie Hebdo, ho avuto la necessità di conoscere le parole delle comunità islamiche; vi propongo qui alcuni articoli interessanti che ho trovato.
Le reazioni del mondo all’attacco a Charlie Hebdo sono state dure, compatte e (quasi) unanimi. Anche da parte del mondo musulmano, spesso accusato dall’opinione pubblica di essere troppo tiepido nel condannare atti terroristici riconducibili al fondamentalismo islamico e che invece, a seguito del massacro costato la vita a 12 persone nella capitale francese, ha alzato la sua voce per rivendicare la distanza tra Islam e terrorismo. E accanto alla presa di posizione di numerosissimi cittadini musulmani europei sui social network o nelle piazze per manifestare solidarietà al giornale satirico francese, si sono fatti sentire anche i responsabili e portavoce delle diverse comunità musulmane in Europa e nel mondo.
La risposta della Francia musulmana. «Ci inchiniamo davanti a tutte le vittime di questo dramma orribile», ha detto il presidente del Consiglio Francese per il Culto Musulmano Dalil Boubakeur, condannando a nome dei musulmani di Francia «l’orrore di questo crimine indicibile». Parole simili anche da parte della Lega Araba – il cui segretario Nabil al-Arabi ha stigmatizzato l’attacco e ricordato che “l’Islam è contro ogni violenza” – e dal segretario generale dell’unione delle moschee di Francia, Mohammed Mraizika, secondo cui «nulla, assolutamente nulla, può giustificare o scusare questo crimine». È una chiamata alla manifestazione compatta anche quella del rettore della moschea di Bordeaux, Tareq Oubrou: «è necessario che i musulmani scendano in piazza in massa per esprimere il loro disgusto per la confisca dell’Islam da questi criminali, questi pazzi. – ha affermato – I musulmani sono traumatizzati, sono stanchi, la maggioranza silenziosa si sente presa in ostaggio da questi folli». La caratteristica di una religione, prosegue l’imam di Bordeaux, è «unire le persone e ogni atto che voglia dividere l’umanità o la società non è un atto religioso».
Le comunità musulmane in Italia. Le voci di condanna per l’attentato arrivano anche dai rappresentanti delle comunità musulmane in Italia: «Non abbiamo nessun bisogno di dissociarci: niente come questa prassi assassina è estraneo alla nostra religione, alla nostra etica e pratica civile – ha dichiarato ad esempio Izzedin Elzir, presidente dell’Unione delle comunità islamiche italiane (Ucoii) e imam di Firenze -. Il nostro sdegno e la condanna per questo atto vile sono totali. Il mio invito, adesso, di fronte a questo estremismo e a questo terrorismo, è di rafforzare le energie per aumentare il dialogo e il confronto». Tuttavia, intervistato da Lettera43, l’imam sottolinea anche che «libertà non vuol dire offendere la fede religiosa, islamica o non islamica. Noi siamo per la libertà di stampa, ma con rispetto. Quando vengono presi di mira il Profeta o il Corano per il mondo islamico non sono caricature, ma vengono vissute come offese. Però ripeto: questo è un discorso che dovremo fare, ma che non giustifica assolutamente quello che è accaduto oggi, che io condanno con tutta la mia forza». Una nota di condanna arriva anche dalla comunità islamica di Trento, secondo cui «Quello di Parigi è un attentato e un crimine contro l’umanità intera e un danno grave non solo alle vittime e ai loro famigliari, ma anche ai valori della stessa religione islamica e ai musulmani che vivono in occidente».
“Not in my name”. Accanto alle dichiarazioni ufficiali si moltiplicano in rete e sui giornali anche le grida di rabbia di cittadini e cittadine musulmani che non accettano di veder la propria fede strumentalizzata per la violenza e l’attacco ai diritti civili. La scrittrice e giornalista Igiaba Scego, dalle colonne di Internazionale, non usa mezzi termini: «Oggi mi hanno dichiarato guerra – scrive – Decimando militarmente la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo mi hanno dichiarato guerra. Hanno usato il nome di dio e del profeta per giustificare l’ingiustificabile. Da afroeuropea e da musulmana io non ci sto. […] Basta! Non dobbiamo più permettere (lo dico a me stessa, ai musulmani e a tutti) che usino il nome dell’Islam per i loro loschi e schifosi traffici». C’è anche chi alle parole preferisce la matita, la stessa “arma” di Charlie Hebdo, e nel web cresce il numero vignette di solidarietà, memoria e cordoglio per il giornale francese a firma araba.
Ma forse, dopotutto, basterebbe guardare le foto della folla radunatasi ieri sera a Place de la République, a Parigi: 35mila persone – musulmane, cristiane, atee, francesi, non francesi – con le matite alzate al cielo, a tracciare il solco tra chi rivendica il suo diritto alla libertà e chi, invece, armato di kalashnikov e fanatismo, pretende di sopprimerlo.
Articolo di Erica Balduzzi www.dirittodicritica.com
Stamane alla sede del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, a Parigi, c’è stata una sparatoria intorno alle 11.30.
Il folle attacco
Fonti di stampa francesi hanno riferito che tre uomini incappucciati vestiti di nero sono entrati e hanno aperto il fuoco con dei Kalashnikov. Non sono riusciti a salire ai piani superiori dell’edificio. C’è stata anche una sparatoria con degli agenti di polizia. Le Monde scrive che non sono stati arrestati e che sono riusciti a fuggire su un’auto nera (Il Post, 7 gennaio).
Charlie Hebdo è un settimanale satirico francese che torna ad essere vittima di un assalto armato: le notizie dalle fonti francesi parlano di un assalto con armi automatiche da fuoco che lascia sul campo almeno dodici morti e venti feriti di cui 5 gravissimi (Tg3, 7 gennaio), mentre i redattori del giornale si sono rifugiati sul tetto della palazzina (Giornalettismo, 7 gennaio).
Tra le vittime, oltre a due agenti, il direttore del settimanale, Stephan Charbonnier, detto Charb, e i tre più importanti vignettisti: Cabu, Tignous e Georges Wolinski, molto famoso anche in Italia. Nell'attentato è rimasto ucciso anche l'economista Bernard Maris, azionista della testata parigina e collaboratore di France Inter. Si tratta di un gravissimo "attacco alla libertà di stampa", il più grave della storia del periodico, più volte finito sotto tiro per i contenuti pubblicati (Repubblica, 7 gennaio).
Cos'è Charlie Hebdo
La rivista è sostanzialmente espressione di una sinistra culturale (simile a riviste italiane come "Cuore" o "Il Male"). Tuttavia - spiega La Stampa - vi si trovano le opinioni e le posizioni più diverse e anche contrapposte. Nel 2002 aveva preso posizione a favore di Oriana Fallaci quando venne pubblicata in Francia “La rabbia e l’orgoglio”, il suo pamphlet contro i cedimenti occidentali all’islamismo. Nel 2006 CB pubblicò le famose vignette di satira su Maometto e i costumi musulmani che erano uscite sul settimanale danese Jyllands-Posten provocando manifestazioni violente di protesta in tutto il mondo islamico. Disegnatori e giornalisti danesi vennero minacciati ripetutamente. Charlie Hebdo scelse di pubblicare quelle vignette aggiungendone altre francesi per solidarietà e per marcare una linea di libertà di espressione contro tutte le intolleranze religiose. La pubblicazione provocò proteste nella comunità musulmana francese, il Consiglio del culto musulmano chiese che il giornale venisse sequestrato, lo stesso presidente della Repubblica Jacques Chirac censurò la scelta di Charlie Hebdo. Da allora il giornale – che pure tratta con articoli e vignette tutti i temi di società - è stato bersaglio di polemica da parte degli esponenti musulmani. Da allora un presidio di polizia era stato istituito davanti alla sede del giornale (La Stampa, 7 gennaio).
Il fondamentalismo islamico dietro l'attentato
Qui il video amatoriale della sparatoria, durante la quale gli attentatori hanno urlato "Allah Akbar", cioé "Allah è grande". Questo e i precedenti della rivista fanno pensare ad un attacco terroristico di natura religiosa da parte di fanatici musulmani.
“È evidente che gli autori dell’attacco avessero un addestramento militare – dice all’Huffington Post (7 gennaio) Oliver Roy, tra i più autorevoli studiosi francesi dell’Islam radicale armato -. Ed è proprio questa logica da esercito più che da Shahid (martire, ndr) che differenzia l’operato dell’Isis, come peraltro quello dei suoi alleati-competitori del Fronte al-Nusra, dal terrorismo qaedista prima maniera”.
Una tesi confermata da fonti della polizia francese che indagano sulla strage al “Charlie Hebdo”: “I terroristi avevano una preparazione militare, sapevano come muoversi, hanno agito con calma, sangue freddo, efficienza, determinazione e hanno dimostrato una freddezza propria di chi è stato addestrato per uccidere quando hanno finito con un colpo alla testa l’agente di polizia in strada”.
L'Islam moderato francese si dissocia
La Santa Sede ha espresso il suo cordoglio e la sua ferma condanna dell'evento e fonti dell'agenzia francese I-Media (7 gennaio) riferiscono lo shock e l'amarezza di un gruppo di Imam francesi in visita al Vaticano proprio stamane.
Tra di essi il rettore della moschea Bordeaux, Tareq Oubrou (nella foto, NdR) che spiega come i "I musulmani sono traumatizzati, sono stanchi, la maggioranza silenziosa si sente presa in ostaggio da questi folli", e prosegue dicendo che desidera "che la comunità musulmana agisca e manifesti insieme". "E 'necessario che i musulmani scendano in piazza in massa per esprimere il loro disgusto per la confisca dell'Islam da questi criminali, quei pazzi", dice ancora Tareq Oubrou. Oltre alla sua vicinanza alle famiglie delle vittime, Tareq Oubrou ritiene che tale atto è "un duro colpo per l'Islam ei musulmani di Francia, un atto che va nella direzione di scindere la società e ritardare l'assimilazione e integrazione dei musulmani" "A chi giova il crimine?", Chiede l'imam di Bordeaux "La caratteristica di una religione è di unire le persone, insiste, e ogni atto che è in linea di dividere l'umanità, la società, non è un atto religioso”. E l'Imam di Bordeaux ha osservato che il "massacro" avvenuto in Charlie Hebdo è "il primo di questa portata dalla fondazione della comunità musulmana nel 1980" in Francia.
Le reazioni del mondo politico
Il presidente Francois Hollande dopo l'attentato ha dichiarato che questo: "È un attacco contro la libertà", visitando il luogo del massacro e promettendo che la Francia non si lascerà piegare (Agr, 7 gennaio).
Attestati di cordoglio e offerte di aiuto sono venute da diverse capitali occidentali come Roma e Washington.
«È mia responsabilità», ha detto Marine Le Pen, leader del Front National , «affermare che la paura deve essere superata e che questo attentato deve, al contrario, farci prendere posizione contro il fondamentalismo islamico. Non dobbiamo tacere, dobbiamo invece cominciare avendo il coraggio di dire cosa è successo. Non dobbiamo avere paura di pronunciare queste parole: si tratta di un attentato terroristico commesso in nome dell'islamismo radicale» (Le Figaro, 7 gennaio)
Un nuovo Salman Rushdie?
Sulla copertina di Charlie Hebdo oggi campeggia una foto dello scrittore Michel Houellebecq, al centro di polemiche per il romanzo in uscita oggi "Sottomissione" (in uscita in Italia il 15 gennaio, NdR), che racconta l'arrivo al potere in Francia di un presidente islamico e nel numero odierno è pubblicata una recensione molto positiva dell'editorialista Maris. Lo scrittore Michel Houellebecq, dopo l'attacco, è stato posto sotto protezione della polizia e i locali della casa editrice Flammarion, che hanno pubblicato il suo ultimo romanzo, sono stati evacuati per motivi di sicurezza (Repubblica, 7 gennaio).
Arresti nella notte
Secondo fonti giudiziarie citate dai media, i fermati sono 7, tra cui Hamyd Mourad, sospettato di essere l'autista del commando. A riferirlo è il sito dell'Ansa che spiega anche come le teste di cuoio e polizia francese stanno ancora cercando Said e Cherif Kouachi, due fratelli noti alla polizia e ai servizi di intelligence francesi, mentre il più giovane dei tre ricercati "si sarebbe consegnato alla polizia in tarda serata a Charleville-Mezières. Ha 19 anni, e secondo le stesse fonti sarebbe "il meno implicato" nella pianificazione e nell'esecuzione dell'attacco.
Said e Cherif Kouachi - due fratelli di 34 e 32 anni di cui uno già condannato in passato per aver fatto parte di una filiera che inviava islamisti in Iraq, che nei mesi scorsi hanno cercato di sfuggire alla sorveglianza spostandosi da Parigi proprio a Reims. Secondo il profilo tracciato dal sito del settimanale Le Point, i due fratelli sono nati a Parigi, e hanno "un profilo di piccolo delinquenti che si sono radicalizzati". Il più giovane, Cherif, era stato arrestato nel 2008 e condannato a 3 anni di prigione, di cui 18 mesi con la condizionale, in quanto componente di una gruppo che inviava combattenti estremisti in Iraq, basata nel 19/o arrondissement di Parigi. Nel quadro di quell'inchiesta, alcuni componenti del gruppo avevano ammesso di aver "fomentato dei progetti di attentato", ma senza metterli in atto. Scontata la pena, Cherif e il fratello, dice ancora Le Point, "avevano fatto di tutto per farsi dimenticare", e si erano "messi a riposo" a Reims (Ansa, 8 gennaio)
Cosa ne pensiamo?
Noi di Aleteia scegliamo di non pubblicare nessuna delle vignette satiriche del giornale francese (facilmente reperibili tramite i motori di ricerca) non per timore, ma per rispetto alla comunità islamica. La rivista francese più volte se l'è presa anche col cristianesimo e il cattolicesimo, ergendosi a baluardo di un certo laicismo di sinistra. Resta tuttavia l'idea che la libertà di stampa e la sicurezza dei giornalisti vada garantita in ogni modo, la possibilità di dire - anche in modo pungente - la verità o il proprio pensiero, resta una necessità sempre più incomprimibile in una società complessa come la nostra. L'equilibrio perfetto tra libertà d'espressione e il rispetto integrale delle altrui sensibilità non è ancora stato trovato, sospettiamo c'entri la progressiva perdita di buon senso da parte del mondo contemporaneo ...
Articolo di Lucandrea Massaro www.aleteia.org
Youssef Sbai, Imam di Massa Carrara e vice presidente dell’Ucoii: "Si sta diffondendo una cultura dell’odio. La diffondono persone che rifiutano il dialogo, che si presentano come credenti musulmani ma non lo sono affatto. Perseguono un’agenda criminale". Shahrazad Houshmand, teologa musulmana: "Condannare ingiustamente un intero popolo… rischia di generare aggressione su aggressione"
La parola d’ordine all’indomani dell’attentato a Parigi è non spezzare le catene della coesione sociale, puntando il dito dell’odio contro chi è innocente e non c’entra nulla. Le comunità musulmane in Francia ma anche in Italia sono sconvolte. Strette nel dolore per le vittime, chiedono, anzi implorano di non fare generalizzazioni: il terrorismo non nasce in moschea. Si diffonde per canali che sono fuori dalla portata di imam e centri islamici. Viaggia per Internet, si propaga per intrighi internazionali. Quello che il mondo religioso può fare è condannare l’odio e la violenza senza mezzi termini e continuare a lavorare per il dialogo.
“Siamo le prime vittime”, esordisce Youssef Sbai, Imam di Massa Carrara e vice presidente dell’Unione delle Comunità islamiche in Italia (Ucoii). “Il poliziotto che è stato freddato dalla mano ferma del terrorista - aggiunge subito - era musulmano. Questo significa che i terroristi non guardano in faccia nessuno. Loro agiscono inseguendo obiettivi criminali. Non c’è altro termine per definirli”. Ma oggi, all’indomani di un attentato che in nome del profeta Maometto ha fatto una strage nella redazione di un giornale, un’ombra oscura di sospetto avvolge in Europa il mondo dell’immigrazione musulmana. “Il problema - interviene subito l’imam - non è la presenza dell’Islam o delle moschee. Il problema è che si sta diffondendo una cultura dell’odio. La diffondono persone che rifiutano il dialogo, che si presentano come credenti musulmani ma non lo sono affatto. Sono persone che perseguono un’agenda criminale ben precisa. Questa cultura assolutamente non si diffonde nelle moschee. Trova altri canali, tra tutti Internet. Non si diffonde per mezzo di religiosi ma attraverso canali che sono fuori dalla nostra portata”. Si tratta di un universo parallelo che viaggia per “intrighi internazionali. Saranno gli analisti ad individuare da chi è popolato e soprattutto come fermarlo”. Due sono le cose che invece si possono fare a livello di moschee: “primo - dice Sbai - invitare gli imam a condannare sempre, con coraggio e senza mezzi termini, simili azioni e poi diffondere con i sermoni una cultura del dialogo, di apertura all’altro, vincendo la presunzione di sentirsi superiori all’altro di avere la verità assoluta”. L’Ucoii, da parte sua, garantisce la sicurezza delle associazioni e dei centri islamici che ne fanno parte perché “li conosciamo, abbiamo con tutti un canale diretto e soprattutto organizziamo periodicamente incontri di formazione per imam. Sono anni che l’Ucoii fa questo lavoro, sono anni che promuoviamo e aderiamo ad incontri di dialogo. Purtroppo è una storia di convivenza attiva poco conosciuta. Varrebbe la pena, soprattutto in questi momenti, conoscerla e raccontarla”.
“Quanto è successo ieri a Parigi è grave, è il segno di un’umanità perduta”. Esprime parole cariche di dolore Shahrazad Houshmand, teologa musulmana e docente di studi islamici in diverse università italiana. “Sicuramente - aggiunge - la povertà, l’ignoranza, lo stato di emarginazione sociale preparano un terreno fertile perché la violenza cresca e si alimenti. Non è una cosa nuova. Ma la soluzione va cercata insieme. Non è compito di alcuni!”. La professoressa chiama in causa “i maestri e i saggi” della società. “Ci sono in Francia - argomenta - 5 milioni di musulmani, altrettanti in Germania. In Italia i musulmani sono circa un milione. Non può essere un problema da trascurare. Non possiamo limitarci a condannare. Ogni abuso come ogni malattia ha radici profonde e radicate. Raduniamo allora tutti i saggi e i maestri della società perché insieme trovino delle soluzioni. Laddove l’integrazione è riuscita, le politiche migratorie sono seguite con giustizia, e l’istruzione è favorita, questi abusi muoiono sul nascere”. Anche la professoressa teme che quanto accaduto a Parigi possa scatenare un’onda di violenza e odio contro i musulmani. “Sarebbe gravissimo perché per decenni i musulmani in Europa hanno vissuto in pace, hanno lavorato, hanno contribuito alla vita dei Paesi che li hanno accolti. Non è giusto che ora si punti il dito contro una popolazione innocente e operosa. Condannare ingiustamente un intero popolo non conduce da nessuna parte, anzi rischia di generare aggressione su aggressione. Se chi non ha fatto nulla di male, viene condannato o giudicato ingiustamente, prima o poi diventerà un musulmano aggressivo. Si genera una società di odio ed è proprio quello che oggi dobbiamo evitare”.
Che Cosa Dicono I Musulmani Dopo L'Attacco a Parigi Articoli è un articolo di Maria Chiara Biagioni www.orientecristiano.it
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