Tornare alla normalità dopo un terremoto
Tornare alla normalità dopo un terremoto testimonianze
Tornare alla normalità dopo un terremoto : come si fa a tornare alla normalità dopo un terremoto, queste testimonianze che vi presento oggi sono i racconti di chi ha vissuto il terremoto in Emilia Romagna del 2012; una donna adulta e una giovane ragazza; ascoltiamo le loro esperienze ed emozioni.
Fulvia Reggiani
Il 20 e il 29 maggio 2012, due violente scosse di terremoto mettono in ginocchio l’Emilia Romagna. 350 feriti, 16.000 sfollati, migliaia di abitazioni inagibili, centinaia di scuole, chiese e teatri lesionati gravemente, decine di capannoni distrutti, 4 ospedali evacuati, 27 vittime.
Si tratta di uno scenario che nella storia d’Italia si è ripetuto molte volte, da Nord a Sud, senza distinzioni. Periodicamente arriva un terremoto che “fa notizia” per la sua drammaticità, avviando una catena di eventi mediatici, politici, sociali e umanitari che affollano radio, TV e internet senza sosta, fino a quando l’emergenza rientra. Ci si commuove davanti alle immagini delle macerie e delle tendopoli, ci si indigna per il fenomeno dello sciacallaggio, non si perde tempo a digitare l’SMS solidale, mentre migliaia di volontari si precipitano sul posto a portare il proprio sostegno e il proprio aiuto. Poi, pian piano, tutto tace. Tutto sembra tornare alla normalità per gli spettatori passivi. Del terremoto si risente parlare solo “a spot”, per qualche aggiornamento o per qualche triste scandalo di corruzione o mal gestione del denaro destinato alla ricostruzione. Ma può tornare tutto alla normalità per chi l’ha vissuto in prima persona?
«Ciao ragazze, eccomi di nuovo on-line. Come state? Dopo la seconda scossa di martedì 29 maggio, non avevo più avuto il coraggio fino ad oggi (11 giugno) di rientrare in camera dove ho il PC per potermi collegare e quindi scrivervi. Della casa utilizziamo la cucina e il bagno, ma per dormire andiamo ancora in un camper accessibile che avrò in uso fino al 18 giugno, dopo di che dovrò trovare la forza per tornare a dormire nel mio letto. Io sto bene, ma dopo il 29 maggio, la mia vita, e quella di molti, è cambiata totalmente». Sono queste le parole che Fulvia Reggiani, residente a Mirandola, uno dei diciotto Comuni del Modenese più colpiti dal terremoto emiliano dello scorso anno, scriveva in una e-mail al Coordinamento del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) del quale facciamo parte. Chiediamo a lei se dopo un terremoto che distrugge vite e luoghi, può tornare tutto normale. Glielo chiediamo il 29 novembre 2012, quando sul portale della Regione Emilia Romagna compare un comunicato che recita: «Dopo sei mesi nessuno più è nelle tende. Le lezioni a scuola sono iniziate regolarmente. L’emergenza è alle spalle, grazie al lavoro dei cittadini, degli amministratori, dei volontari. Molto resta fare, ma la ricostruzione è cominciata» (fonte: www.regione.emilia-romagna.it).(Annalisa Benedetti)
Fulvia racconta
Eccomi qui. Sono Fulvia, distrofica emiliana di 47 anni e due terremoti alle spalle. Quando rievoco la parola terremoto, il mio pensiero va sempre a chi l’ha vissuto prima di me: in primis i nostri conterranei dell’Aquila e a quanto io fossi lontana dall’immaginare, nonostante le cronache televisive, le immagini, le storie e le emozioni raccontate, cosa significasse veramente vivere un terremoto.
20 maggio 2012
È l’una di notte, mi sto preparando assieme a mia mamma per andare a dormire. Un piccolo tremore del terreno ci ricorda che la terra è viva; subito pensi: «Il terremoto!». Magnitudo 4.1, le mura hanno rumoreggiato, le porte tremato, esco a confrontarmi con qualche vicino. Non siamo spaventati, è durato pochi secondi, forse quattro, poi «qui da noi non verrà mai un terremoto che farà crollare le case», lo dicono tutti i sismologi più esperti; perciò rientro in casa e ce ne andiamo a dormire.
Ore 4,11. Il letto si scuote, sogno di essere cullata, ma una voce urla il mio nome: «Fulvia! Fulvia! … Il Terremoto!» (magnitudo 5.9, 10 chilometri di profondità). Così mi sveglio di soprassalto e il rumore è inimmaginabile; il boato che produce un terremoto è davvero inimmaginabile! Poi, oggetti che cadono, porte che sbattono e mura che vibrano così forte da spostare i mobili; eppure sono a pianterreno! Istintivamente tento di alzarmi, ovviamente non riesco, i secondi scorrono, ne passeranno venti, la luce viene a mancare e il buio è totale.
Senti in cortile le urla dei vicini «Linaaa, Fulvia, Sergio, venite fuoriii …». Mia mamma che apre la porta di casa, torna da me, ed ecco che finalmente tutto è finito. Io sono ancora nel mio letto. Mia mamma prende il sollevatore e dopo le solite manovre che durano alcuni minuti, cercando di evitare i vetri a terra, sono in strada, seminuda, coperta solamente da un plaid. Piangiamo tutti, ci abbracciamo, vicini compresi, mi guardo attorno e qui, nella mia via, sembra ci siano pochi danni e nessun ferito. Il pensiero va a mia sorella «… lei vive al secondo piano! Dov’è stato l’epicentro? Cosa le sarà successo?». Allora istintivamente penso di chiamarla, ma il telefono è rimasto in casa. Le vibrazioni continuano incessanti, ma coraggiosamente mia mamma torna dentro a prenderlo. Non funziona, nessuno riesce a chiamare nessuno, allora attendiamo speranzosi che arrivi: e così accade.
Le ore passano, le scosse si susseguono, e mentre aspettiamo l’alba, cerchi inutilmente di contattare i parenti e gli amici per i quali temi l’impensabile. Molti si avvicendano e così ci tranquillizziamo un po’. Manca però uno zio all’appello, lo chiamo e stavolta mi risponde. È appena uscito dal Pronto Soccorso. La sua casa è semicrollata: dalla camera di mia cugina ora si vede il cielo e lei e mia zia sono ferite, per fortuna in modo lieve. Trascorreranno il pomeriggio, freddo e piovoso, accanto alla loro casa da pochi anni di loro proprietà, ma che, adesso, dovranno abbandonare … per sempre. Per qualche giorno, finché non trovano altra sistemazione, li ospitiamo noi, assieme al figlio e a un’altra zia. Dormiamo in nove in due stanze, chi in poltrona, chi in terra, io sulla carrozzina, per restare vicino alla porta d’ingresso, nel caso si debba fuggire nuovamente.
La stessa notte, l’ospedale dove io lavoro come centralinista, sarà evacuato per precauzione, così anche altri due a poche decine di chilometri di distanza, e dalla Protezione Civile verrà attrezzato immediatamente un punto di primo intervento.
Nei giorni seguenti verranno fatte le verifiche per la stima dei danni in tutto il territorio. A Mirandola, nel centro storico, vedi transenne ovunque. Le quattro chiese principali hanno subito parecchi danni, crepe e calcinacci, ma si reggono ancora in piedi, solenni. Tutto sommato è andata bene! Il pensiero va alle vittime di quella notte e alle cerimonie cresimali che si sarebbero dovute tenere proprio quella domenica. Il Sindaco ha predisposto banchetti nella piazza principale, per la raccolta di richieste d’aiuto e la Protezione Civile, già la domenica sera, ha allestito a Mirandola un paio di campi tenda.
Ma non è ancora nulla …
Siamo tutti spaventati, le scosse continuano incessanti, anche venti-trenta al giorno. Sono di lieve entità, ma le avverti tutte e non ti lasciano tregua. Ovunque la gente cerca di riprendere la normalità. Qualcuno dorme in auto, altri hanno allestito una tenda nel giardino di casa, tutti – il mattino seguente – andranno al lavoro.
Questo terremoto non ci ha fermati; le molte ditte ed esercizi che nella zona di Mirandola non hanno subito danni, perché l’epicentro era distante una ventina di chilometri, riprendono le proprie attività, qualcuna lasciando ai propri dipendenti la facoltà di scegliere se rimanere a casa ancora qualche altro giorno.
Dopo aver dormito in carrozzina per quattro giorni, il giovedì 24 trovo il coraggio per tornare a dormire nel mio letto. Al mattino posso indugiarvi per recuperare un po’ di forze visto che non ho ancora ripreso a lavorare. In ospedale si cominciano a predisporre i piani di rientro delle attività, i miei colleghi sono già all’opera e forse, la settimana seguente, anch’io riprenderò il mio posto.
Nulla faceva presagire che da lì a pochi giorni sarebbe successa la catastrofe.
29 maggio
Ore 9, magnitudo 5.8, profondità 5 chilometri, epicentro Medolla, a soli 12 chilometri da casa mia! Quel mattino sono in casa con mio papà, dormo finalmente un po’ rilassata perché da due giorni si avvertono pochi tremori. Mi sveglio, stavolta è mio papà che chiama, sulla porta della mia camera, stretto allo stipite della porta per non cadere. La luce del mattino rende tutto visibile, perciò assisto inerme, per interminabili dieci secondi, agli oggetti che cadono nella mia camera: libri sugli scaffali fissati al muro sembrano ballare, qualcuno finisce sotto il mio letto, scrivania che ondeggia. In cucina nuovamente vetri … e si ricomincia tutto daccapo.
Quando arrivo in strada, accompagnata da mio papà, sono tutti lì, di nuovo atterriti e urlanti. Increduli! Mia mamma è a Mirandola, mia sorella al lavoro e piango tremante e senza forze. Le strade sono intasate e ci mettono una vita a riunirsi a noi. Scoprirò poi che mia mamma era in macchina, che ha visto la terra ondeggiare come fosse il mare, le piante con tronchi che si toccavano l’un l’altro, la polvere dei capannoni crollati. Mia sorella è riuscita a ripararsi sotto la scrivania che “correva” all’interno dell’ufficio, come se avesse le rotelle e ha sentito il boato. Il terremoto esattamente sotto di lei. Il capannone della sua ditta è crollato, così pure l’edificio di fronte: si scoprirà, dopo poche ore, che lì c’è stata una vittima.
È da questo momento che la nostra vita cambia. Per mesi molti dormiranno in giacigli di fortuna, molti in tendopoli, qualcuno ha acquistato roulotte, camper o casette di legno; chi ha potuto se n’è andato lontano a trascorrere l’estate. A me e ai miei familiari, dai Servizi Sociali e dalla Protezione Civile, viene proposta ospitalità in un albergo lontano, ma non accettiamo, per non abbandonare la nostra casa, anche stavolta, per fortuna, non danneggiata. Ora, però, siamo molto più spaventati ed entriamo nell’abitazione solo per quei pochi minuti indispensabili alle necessità inderogabili.
Mia sorella viene a vivere da noi, sentiamo la necessità di stare vicini, abbiamo bisogno l’uno degli altri, inoltre la sua casa è molto danneggiata. Dai miei familiari mi faccio allestire dietro casa un “bagno di fortuna” coperto da lenzuola, per un paio di giorni dormo in tenda, ospite di vicini di casa; in seguito, con l’aiuto di amici, trovo un camper accessibile, che utilizzo per venti giorni nelle ore notturne. Giorni nei quali diamo vita a una comunità con i vicini di casa, condividendo i pasti, la cucina e il bagno delle due abitazioni al pianterreno.
Nella disgrazia, riscopriremo il valore della solidarietà, dell’amicizia e dell’affetto che ancora oggi, e penso per sempre, ci legherà.
E poi ancora: centri storici chiusi per mesi, forze dell’ordine ovunque, stabilimenti crollati o chiusi per inagibilità e operai a casa, senza risposte per il futuro; chiese crollate, scuole impraticabili, interi palazzi crollati o inagibili.
Oggi. Primi giorni del 2013
Per ciò che mi riguarda, riconosco di essere stata fortunata. Oltre alla paura delle prime settimane e a qualche giorno in cui sono dovuta rimanere a casa dal lavoro, non ho subito altri danni. Ho lavorato in tenda nei soffocanti mesi di giugno e di luglio, ma, per fortuna, non sono rimasta senza lavoro. Non ho perso la casa e il terremoto cerco di lasciarlo alle spalle, ma è dura!
Ovunque guardi, il paesaggio te lo ricorda. Ampie zone della periferia sono state edificate con nuove scuole prefabbricate, moduli abitativi, consegnati agli sfollati nel periodo natalizio, container o casette di legno per le attività commerciali come bar e negozi. I centri storici sono tuttora parzialmente chiusi, ma è prevalsa la voglia di ricominciare senza attendere gli aiuti di Stato che arriveranno (si spera) in un futuro, purtroppo, ancora incerto.
Infine, per rispondere alla domanda: «Può tornare tutto alla normalità per chi ha vissuto il terremoto in prima persona?», rispondo «NO, se per normalità si intende ciò che vivevamo prima del sisma; vivremo tutti una normalità post-sisma, fatta di ricordi e di speranza per il futuro».
Tratto da www.superando.it/2013/03/13/quelle-scosse-che-rimangono-nellanima/ articolo scritto da Fulvia Reggiani, donna con disabilità di Mirandola (Modena)
Greta Cannizzaro
"Tre mesi..tre mesi che mi sono sembrati anni ...
Forse i tre mesi più intensi della mia giovane vita. Ogni giorno dal quel famoso 29 Maggio è stato vissuto a pieno perché tutto, o quasi, è cambiato.
Oggi scrivo dalla cucina del “nuovo” appartamento sempre qui, a Cavezzo (Mo) perché nonostante tutto amo il mio splendido paese e anche se ora sembra stato bombardato non ho nessuna intenzione di andarmene. Scrivere da qui sembra un sogno, sì perché io, la mia famiglia e tantissime altre persone abbiamo trascorso questi mesi in tenda! Alcuni per necessità altri anche “solo” per il terrore, ma comunque tutti senza quelle comodità che una casa ti offre. Così fare la doccia a casa tua è speciale, il primo pranzo senza fare la fila alla protezione civile è indimenticabile! E soffro al pensiero che molti ancora siano costretti ad alloggiare nella tendopoli perché hanno perso davvero TUTTO! Sì, perché io sono tra le persone fortunate, quelle che hanno potuto recuperare il necessario dall’abitazione inagibile ma a chi è crollata la casa non restano che le lacrime.
Ma allo stesso tempo questi mesi mi hanno insegnato cosa sia la solidarietà, forse non è del tutto vero che viviamo in un mondo egoista ed opportunista come pensavo prima di questa esperienza perché io e molti altri abbiamo ricevuto il PREZIOSO aiuto di sconosciuti oltre che degli amici più cari. Un piccolo esempio è il signor Franco P. della provincia di Bologna che ogni weekend insieme alla moglie ci portava la frutta fresca! Come lui tantissimi altri, tantissimi davvero!! E questo ci emoziona profondamente .. a queste persone non possiamo che dire GRAZIE DI CUORE!
Oltre a loro ovviamente è stato fondamentale il lavoro della Protezione civile che non ci ha mai fatto mancare nulla, preparandoci i pasti ogni giorno!
Queste poche righe per dire che da un dramma come questo possono emergere anche storie positive, di coesione sociale.
Ancora oggi, 29 agosto 2012, ad ogni rumore tutti noi ci guardiamo intorno con sospetto e col batticuore, molti ancora fanno incubi orribili. Ma sempre oggi, 29 agosto 2012, tutti noi guardiamo dritti al futuro, nessuno si ferma!
Sono iniziati i lavori per costruire le nuove scuole di legno e gli operai lavorano anche la notte con l’ausilio dei fari, molte aziende cercano di ripartire, molte associazioni sono in cerca di nuove sedi per ricominciare, si cerca di organizzare raccolte fondi per racimolare qualche soldino perché il cammino è ancora lungo .. le macerie sono ancora qui e dei contributi nemmeno l’ombra. A volte lo sconforto sembra prendere il sopravvento ma quello che non mancherò mai è la voglia di lavorare per ripartire, per provare a tornare alla “normalità” perché noi … TENIAMO BOTTA!"
Tornare alla normalità dopo un terremoto testimonianze è lo scritto di Greta Cannizzaro, studentessa di Cavezzo, messaggio inviato a Panorama.it a tre mesi dal terremoto che ha sconvolto l'Emilia
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