Storie di Natale Ventitré Dicembre Racconti
Storie di Natale Ventitré Dicembre Racconti
Storie di Natale Ventitré Dicembre : era il ventitré di dicembre e questa è una storia di Natale, due figure femminili si intravedevano appena alla fine di una strada in penombra, mentre le pozzanghere del marciapiedi dormivano sotto un leggero strato di ghiaccio, le due giovani si scambiavano qualche parola sotto la luce fioca di un lampione, aspettando l'arrivo di qualche cliente.
"Scommetto che il prossimo sceglie me!" - disse una portandosi la sigaretta alle labbra e sfregandosi le mani per scaldarsi.
"Beh ... per me è lo stesso. Non farò niente per impedirlo. Sto morendo. Credo che se mi apro un'altra volta il cappotto questa polmonite mi ucciderà all'istante" - rispose l'altra tossendo rumorosamente e tirando su con il naso. "Polmonite? Io direi qualcosa di più della polmonite. Dalla faccia che hai non so se arriverai a domani mattina...". In quel momento una macchina si fermò accanto a loro e suonò il clacson. "Bene, bellezza, è il mio turno. Ciao e buon Natale ..." - aggiunse con ironia andandosene, gettando ai piedi della "collega" la sigaretta sporca di rossetto. Poi entrò in macchina e scomparve nell'oscurità .
L'altra ragazza rimase da sola, seduta su una sedia mezza rotta. Rimase per un bel po' di tempo chinata in avanti con i gomiti sulle ginocchia e il viso tra le mani. Tutto girava e nella sua testa solo due parole brillavano come luci intermittenti: "Buon Natale". All'improvviso svenne. Mentre il suo corpo giaceva immobile, avvolto in ombre tenui e in un freddo tagliente, la sua mente cominciò a vagare e ad andare lontanissimo come in un sogno molto realistico. Si trovò all'improvviso in mezzo ad un bosco di olivi antichissimi, piegata sul tronco raggrinzito di uno di essi. Un odore di campagna fresco e penetrante la fece tornare in sé. Percepì con stupore che il suo corpo guariva di colpo e che le sue sofferenze scomparivano come per magia. Stava ancora sbadigliando come un orso quando all'improvviso sentì dietro di sé il rumore secco delle foglie che cedevano sotto dei passi che si avvicinavano. Prima che potesse girarsi per vedere chi fosse, una voce maschile la avvolse come un vento piacevole: "Silvia, che piacere trovarti qui. Come ti senti?".
La ragazza lo scrutò da capo a piedi con aria diffidente. Anche se il tono della sua voce le era sembrato molto familiare, il suo aspetto le era completamente sconosciuto. Per questo si era sorpresa vedendo che l'aveva chiamata per nome e con un tono confidenziale. Tuttavia, non provava nessuna paura. Al contrario. Tutto in lui emanava qualcosa che le ispirava un profondo sentimento di fiducia. Dopo qualche esitazione, alla fine decise di rispondergli.
"Chi sei e perché ti interessi di me?" - disse con tono aspro e duro, fingendo una sfiducia che non provava.
"Su, dai ... vedo che sei restia a mostrare i tuoi veri sentimenti e che non sei abituata a fidarti degli uomini". La ragazza si allarmò vedendo che il suo trucco era stato scoperto e arrossì un po'. Lui, sedendosi sull'erba di fronte a lei, continuò: "...E in qualche modo lo capisco, perché conosco le circostanze in cui hai incontrato la maggior parte di loro...".
Silvia era confusa. Aveva davanti uno sconosciuto che sembrava, però, conoscerla perfettamente ed era perfino capace di decifrare i suoi sentimenti, leggendo nella sua anima come in un libro aperto. Cominciò allora a rendersi conto del fatto che sarebbe stato inutile fingere davanti a lui. Non le rimaneva altra scelta che mostrarsi per com'era realmente e dire ciò che pensava e provava. Le dava abbastanza fastidio perché non aveva mai pensato di doversi comportare così con qualcuno. Si riscosse sentendo che il suo misterioso interlocutore le rivolgeva di nuovo la parola.
"Non ti fare tanti problemi, Silvia" - disse con lo stesso tono di voce gentile - "devi comportarti e parlare con me con la naturalezza con la quale parli con te stessa; e puoi fidarti ciecamente di me, perché posso solo volere il tuo bene".
"Va bene, va bene, ci proverò" - rispose lei timidamente guardandolo per la prima volta negli occhi, che le sembrarono limpidi e profondi come una sorgente infinita. "Ma come posso essere sicura di quello che dici? Non so chi sei, né perché sai tante cose di me, né come riesci a sapere quello che penso...".
"Va bene, andiamo con ordine. So tante cose di te perché sono al tuo fianco da quando hai cominciato ad esistere. Sono capace di conoscere i tuoi pensieri perché so tutto quello che succede in te, ne sono testimone diretto. E per questo non posso farti del male perché sono...". "Sei Dio?" - lo interruppe lei con un lampo di confusione e di incredulità negli occhi.
"No, non sono Dio, mi dispiace". Silvia si accigliò provando una certa delusione al sentire quella risposta negativa. "Ma lavoro direttamente per Lui. Sono un Angelo. O meglio, sono il tuo Angelo".
"Il mio Angelo!?" - esclamò con enorme stupore. "Sì. Il tuo Angelo Custode. Non sai, forse, che ognuno ha il suo? Mmmm... Pare tu abbia già dimenticato quello che hai imparato con tanto impegno da piccola a catechismo.. . E’ ovvio, certo..." - aggiunse in tono pensieroso portandosi la mano al mento - "ora mi spiego perché i nostri rapporti finora non hanno funzionato come avrebbero dovuto...".
Silvia continuava a lambiccarsi il cervello pensando a cosa dire al suo Angelo Custode, dato che in tutta la sua vita non gli aveva mai prestato la benché minima attenzione. Nel frattempo l'Angelo, con gli occhi bassi e come se stesse parlando solo per se stesso, continuava a dire a voce bassa:
"Beh, a quanto sembra ormai e qualcosa di generalizzato tra gli uomini il fatto che non siano neppure coscienti della continua presenza acconto a loro del proprio Angelo Custode. Forse non passa loro nemmeno per la mente il fatto che esistiamo. Soffrono tutti di una specie di sordina cronica che impedisce che ci ascoltino, per quanto cerchiamo di farci sentire all'interno della loro coscienza. Non mi stupisce che siano sempre di più gli angeli custodi che chiedono a Dio il permesso di rendersi visibili per poter così...".
"Come ti chiami?" - lo interruppe la ragazza, che aveva già smesso di far caso a lui. "Come... come mi chiamo..." - rispose l'Angelo distolto all'improvviso dal suo monologo.
"Beh, vedi, il mio nome di battesimo (come dite voi, anche se noi angeli non abbiamo bisogno di battezzarci) è abbastanza raro e difficile da pronunciare per gli esseri umani (noi non abbiamo problemi di pronuncia perché comunichiamo sempre con la telepatia).. . e quindi credo che tu possa chiamarmi Windy, all'inglese, come si usa oggi. E poi riprende l'idea del mio vero nome, che significa 'vento' o 'brezza'..." . "Bene, Windy, come vuoi; dopo tutto mi sembra un bel nome... E ora perché non mi spieghi perché sei venuto da me, dove siamo e cosa stiamo facendo qui?".
"Vedi, Silvia, io non sono venuto. Ti ho detto che sono al tuo fianco da quando Dio ti ha creato. L'unica cosa che ho fatto è manifestarmi, apparire, rendermi visibile. Per quanto riguarda il luogo in cui ci troviamo, ne porteremo più in là. E il perché di tutto questo è molto semplice: perché se non fosse stato così, ho proprio paura che non avresti mai fatto caso a me; e questo, ovviamente, soprattutto a tuo svantaggio.. .".
Il suo atteggiamento e il suo modo di esprimersi fecero sì che queste parole così chiare e dirette non suonassero agli orecchi di Silvia come un rimprovero. Arrivarono piuttosto alla sua anima dolci come una carezza.
"Il mio compito è quello di aiutarti" - continuò Windy - "e siamo qui proprio per questo. Sicuramente sai che giorno è oggi, vero?".
Lei ci pensò un istante ed esclamò con il viso illuminato: "È il giorno di Natale!". Poi rimase come sospesa in pensieri e ricordi profondi... Una brezza delicata andava e veniva giocherellando tra i tronchi degli alberi e orchestrando, mentre passava tra rami e foglie, l'allegro cinguettio con cui gli uccelli salutavano il giorno.
Il Natale per Silvia aveva un significato affettivo ed emotivo molto speciale. Portava con sé come se fosse marchiato a fuoco nella sua anima il ricordo di quei Natali di quando era bambina, vissuti in un ambiente familiare che traboccava pace, affetto e felicità. Già da qualche anno sognava e sperava di poter respirare di nuovo in quell'occasione un po' di quella meravigliosa atmosfera di tranquillità. E la sua anima, ora sommersa e asfissiata dai fumi del male, glielo chiedeva gridando. Ogni volta che arrivavano le festività natalizie, dentro di lei si riapriva una piaga dolorosa. Anno dopo anno si riaffacciavano nella sua mente le stesse domande che le laceravano l'anima.
"Perché, perché mio padre se ne è andato di casa in quel modo, lasciando una moglie e tre figli sconsolati? Perché proprio allora mia madre si è ammalata gravemente? E perché io, la maggiore, quando avevo appena diciannove anni, ho deciso per disperazione di vendere il mio corpo per guadagnare in quel modo il denaro di cui avevo tanto bisogno per procurare a mia madre le medicine che le prescrivevano e ai miei fratelli più piccoli il sostentamento quotidiano? Perché poi ho continuato a fare lo stesso quando ormai non era più necessario? Perché continuo a fare qualcosa che mi sta rovinando la vita quando avrei potuto benissimo cercare e trovare altre vie d'uscita? ...".
Tutti questi pensieri passarono di nuovo per la mente e il cuore di Silvia come una nube densa e nera, oscurandole lo sguardo che pochi secondi prima emanava speranza. Fu allora che si rese conto del fatto che negli ultimi anni aveva percepito dentro di sé (ma senza prestarci attenzione) il richiamo di una voce (che aveva lo stesso identico tono di quella del suo Angelo, che non smetteva di insinuare in lei l'idea che facendo quella vita si stava buttando via.
"Sì, Silvia, era la mia voce" - intervenne allora Windy - "c'ero io dietro a quelle insinuazioni, io che cercavo di diventare l'eco di ciò che Dio voleva dirti nella parte più profonda della tua coscienza. Come ti sei ben resa conto, però, dentro di te hanno vinto quasi sempre altre voci, che finivano immancabilmente per soffocare la mia...".
La notte era scesa, rubando lentamente al paesaggio i suoi colori. Il silenzio copriva tutto come un manto di nebbia limpida. Tutto nel bosco sembrava essersi addormentato. Tutto meno l'animo agitato di Silvia che, dopo aver ascoltato le ultime parole dell'Angelo, si sentì il corpo e l'anima percorsi da un'ondata di dolore e tristezza che sfociarono in una profonda sensazione di pentimento e di vergogna. Le venne un desiderio insopprimibile di chiedere perdono a Dio e anche a Windy; ed era disposta a qualsiasi cosa per uscire dal pantano in cui si trovava e cambiare vita una volta per tutte.
"Stai pur certa che Dio ti perdonerà e ti assisterà sempre" - intervenne di nuovo l'Angelo - "ed anch'io. Non lo dimenticare mai. Dio è il Padre della misericordia, ed è sempre pronto ad accogliere a braccia aperte ogni anima pentita. Dio non si stanca mai di amare gli uomini. Non si stanca mai di amare te. E non solo questo, perché tu veda quanto continua ad amarti, proprio oggi ti concederà qualcosa di molto speciale. Potrai trascorrere il Natale in un luogo in cui ti troverai addirittura meglio di quanto ti trovassi a casa tua quando eri bambino. Quindi" - in quel momento l'Angelo si alzò e allungò la mano verso Silvia - "alzati e vieni con me. E asciugati quelle lacrime, ragazza mia, perché sennò non ti lasceranno vedere quello che devi guardare".
Avanzarono per qualche decina di metri fino ad uscire dal bosco e presero un piccolo sentiero che si faceva strada serpeggiando tra erba e cespugli. Era già quasi mezzanotte.
"Windy, hai visto quella stella enorme che è lì davanti? Non ti sembra che stia un po' troppo vicino alla terra?".
"Sì. E così. E noi andiamo proprio lì".
A lei venne subito in mente la stella di Betlemme, ma non volle fare nessun commento a voce alta. Riuscì a vedere, tuttavia, come sul volto dell'Angelo si delineava un sorriso.
Una sensazione di pace andava impadronendosi di Silvia man mano che avanzavano. Nei suoi occhi non c'erano più lacrime né c'erano più timori o incertezze nel suo cuore. Comminavano in silenzio. Ad un certo punto, tra belati e latrati, si udirono le voci di alcuni pastori che dovevano essersi fermati a passare la notte non molto lontano da lì. E, poco dopo, le note di un potente canto a più voci che sembrava essere stato condensato nel cielo si sciolsero dolcemente permeando tutto l'ambiente di armonia.
Il cuore della ragazza ebbe un sussulto e immediatamente pensò di nuovo a Betlemme. Le coincidenze le si facevano già troppo evidenti, tanto che non ce la fece più e si voltò verso l'Angelo con un fare ansioso.
"Dove siamo? Non staremo andando a ...". Sul volto di Windy si disegnò un sorriso che a lei parve davvero angelico ...
"Ora vedrai. Non essere impaziente" - le rispose con dolcezza.
Dopo una collinetta il sentiero piegò a destra. Pochi metri davanti a loro, mezza incassata in una parete rocciosa, apparve una piccola stalla con la porta semiaperta. Da dentro usciva una luce calda e tenue.
"E la grotta di Betlemme!?" - esultò Silvia guardando l'Angelo senza riuscire a contenere la sua grande emozione.
"Sì, è proprio quella. Vuoi entrare?".
"Certo che voglio...". Rifletté un istante e poi aggiunse, visibilmente dispiaciuta: "Però, combinata così..." (anche se aveva un cappotto, aveva, per così dire, l"abito da lavoro"; il lavoro di molte delle sue tristi notti ...).
"Non ti preoccupare assolutamente di questo" - la confortò l'Angelo - "lì dentro nessuno fa caso all'aspetto esteriore degli altri. Sanno benissimo che ciò che conta è l'anima; e la tua è abbastanza a posto. Ricordati che Dio non può disprezzare un cuore contrito e umile come è il tuo in questo momento. E inoltre il bambino Gesù, che vedrai ora, è venuto a salvare i peccatori e a curare quelli che hanno bisogno di un medico. Non temere. Su, entra ...".
Appena entrati nella stalla, gli occhi di Silvia si riempirono di nuovo di lacrime (questa volta per l'emozione) e la sua anima fu pervasa da una pace profonda. Maria le fece un cenno per farla avvicinare con fiducia. Il bambino stava dormendo e Giuseppe era uscito per andare a raccogliere un po' di legna. Silvia, asciugandosi le lacrime con la manica del cappotto, salutò gentilmente Maria.
"Salve, Maria. Come vedi, sono molto emozionata... Non riesco ancora a credere di essere qui, con voi, a vivere il Natale. Prima di entrare mi vergognavo molto, perché non so se sai chi sono e cosa ho fatto nella mia vita fino a questo momento, ma voglio che tu sappia che sono pentita e che voglio cambiare. Potresti dirlo a Gesù quando si sveglierà?".
"Non ci sarà bisogno che glielo dica" - rispose Maria sorridendole dolcemente - "perché, anche se non sembra, ti ha già ascoltato ed è sicuramente molto felice per il cambiamento che c'è stato nella tua anima".
"Sì, Maria, so che non sono più la stessa, so che qualcosa è profondamente cambiato in me" - due grandi lacrime le scivolarono dagli occhi. "Il mondo, però, continua ad essere lo stesso... Qui mi trovo così bene che al solo pensiero di dover tornare mi fa paura e mi fa sentire impotente".
"È normale che tu abbia paura" - rispose Maria asciugandole con tenerezza una lacrima che le scendeva sulla guancia - "le circostanze in cui devi vivere non sono facili. Ma non dimenticare che non sarai mai sola. Hai un meraviglioso Angelo custode" - e in quel momento Windy sorrise leggermente. "Hai noi, Gesù e me. E non mancheranno mai accanto a te altre persone che ti offriranno il loro aiuto".
Maria fece una pausa, la guardò con una bontà indescrivibile e aggiunse: "Vedrai come sarà tutto più facile e più sopportabile di quanto immagini. Non ti angosciare ora pensando a questo. Ti vedo abbastanza stanca, perché non ti metti qui, vicino al fuoco, e non riposi per qualche minuto? Con un po' di fortuna, Gesù non tarderà a svegliarsi per mangiare; e allora potrai stare un po' con lui".
La ragazza si raggomitolò appoggiando la testa su un mucchietto di paglia e non tardò ad addormentarsi profondamente. Le fiamme inquiete riflettevano luci ballerine sul suo viso. Sembrava completamente coperta da un manto di calma e tranquillità.
Si svegliò all'improvviso sentendo il rumore di una porta che si chiudeva. Rimase sorpresa e delusa di non trovarsi più nella stalla di Betlemme. Una dottoressa toccava il suo braccio sinistro che era collegato ad una flebo.
"Dove sono?" - chiese un po' disorientata.
"All'ospedale, e dove se no?" - rispose la dottoressa. "E meno male che ti hanno presa in tempo, altrimenti non ti saresti svegliata mai...". "È questo che avrei voluto" - sussurrò Silvia.
"Ma che dici, ragazza mia?" - le chiese la dottoressa.
"Niente, niente... da quanto tempo mi trovo qui?". "Nemmeno due giorni. Sei arrivata priva di sensi, portata in braccio da un signore estremamente gentile ed educato. Ha lasciato una grossa somma di denaro per pagare le spese delle tue cure e ha chiesto che quello che avanzava fosse consegnato a te. E inoltre ha lasciato questa per te".
La dottoressa allungò una busta a Silvia. Lei la prese e cominciò ad aprirla con le mani che le tremavano. Conteneva una lettera scritta a mano con una calligrafia sottile ed elegante. Dopo averla letto, con un'espressione confusa, la ripiegò e la ripose con cura nella tasca del suo cappotto che era appoggiato su una sedia, vicino al letto, assieme ad altri vestiti che non erano i suoi e si vedeva che erano nuovi.
La dottoressa se ne stava già andando quando Silvia la fermò.
"Dottoressa! Quando potrò uscire dall'ospedale? ". "Io credo domani stesso. Ti sei ristabilita in modo incredibilmente rapido".
E così fu. La mattina dopo Silvia uscì da lì sulle proprie gambe, indossando dei vestiti eleganti, con la borsa sulla spalla e il cappotto sul braccio. Chiamò un taxi e una volta entrata tirò fuori la lettera di quel signore sconosciuto e lesse al conducente il primo indirizzo che c'era scritto. La macchina si fermò di fronte a una bella chiesa. Dopo aver pagato il tassista, scese dall'automobile e rimase per un istante di fronte alla facciata. All'improvviso sentì dentro di sé la voce, ora inconfondibile, del suo Angelo: "Coraggio, Silvia, ricorda che Dio ti perdona e ti assisterà sempre".
Entrò e si inginocchiò. Sentiva un peso sul cuore e provava un grande bisogno di pace. Alzò lo sguardo, vide un sacerdote seduto nel confessionale e non ci pensò due volte... Uscì da lì con l'anima leggera come il vento. Le sembrava di essere uscita dalla grotta di Betlemme ...
Poi prese un altro taxi che la portò al secondo indirizzo scritto su quella lettera misteriosa. Questa volta si trattava di un grande palazzo pieno di uffici. Salì al piano segnalato, chiese della persona indicata sulla lettera ed entrò timidamente in uno studio elegante.
"Buongiorno, mi chiamo Silvia ...".
"Ah, sì, entra, Silvia, e siediti" - la interruppe gentilmente il signore al quale si era rivolta. "Abbiamo ricevuto la domanda e ho già buone notizie. C'è qui un contratto per te. Da questo momento potrai lavorare per la nostra compagnia".
Silvia spalancò gli occhi e non riusciva a credere a quello che stava succedendo. Avrebbe voluto chiedere immediatamente chi c'era dietro a tutto questo. Prima che potesse formulare la domanda, però, il direttore della compagnia aggiunse:
"Mi dispiace di non poterle dire nulla su chi ha chiesto che le venisse affidato questo lavoro. Ha voluto che tutto fosse coperto dal più assoluto riserbo".
Dopo aver ricevuto qualche indicazione pratica, Silvia si alzò e si congedò ringraziandolo gentilmente.
Quella notte, nel suo piccolo appartamento, prima di andare a letto Silvia tirò di nuovo fuori la lettera misteriosa. All'ultima riga c'era scritto: Gv 8,1 1. Ci mise un po' a rendersi conto del fatto che si trattava di una citazione delle Sacre Scritture. Prese una vecchia Bibbia che conservava ancora sulla libreria e cercò quel passo. Diceva così: "Neanch'io ti condanno. Vai e d'ora in poi non peccare più".
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