Premorte testimonianza di Alessio Tavecchio
Premorte testimonianza di Alessio Tavecchio premorte parte seconda
Premorte testimonianza di Alessio Tavecchio : questa che leggerete è la seconda parte della lunga testimonianza di premorte di Alessio Tavecchio (www.alessio.org); la prima parte è pubblicata all’indirizzo
Per riprendere il filo delle emozioni che Alessio ci stava trasmettendo, partiamo dalla lettura delle ultime parole che Alessio ci diceva ….
Improvvisamente dal buio profondo spunta davanti a me, in alto alla mia destra, uno schermo cinematografico sul quale vedo rappresentata nella notte una strada di città illuminata dai lampioni e completamente deserta. Deserta fino a che, da un momento all'altro, vedo qualcosa che scivola sulla strada e fa scintille come una cometa.
«Ma cos'è? Sembra una moto che scivola su un fianco. Ma quella moto … quella moto è la mia moto. Nooo!!!!!».
Ecco cos'è successo, ecco il fatto che spiega tutto. Ho fatto un incidente in moto.
Rimango alcuni istanti a bocca aperta a osservare, sbalordito e immobile, quello schermo e quella moto ormai ferma vicino al marciapiede. La mente viaggia velocissima ma non riesco a coglierne il minimo pensiero. Mi sento totalmente passivo e ancora un poco spaventato.
Improvvisamente lo schermo si smaterializza e io pronuncio ad alta voce e con tono molto amaro una frase che dentro di me sapevo che prima o poi avrei detto, quasi come se sentissi che l'accaduto era inevitabile perché lo conoscevo già da tempo.
«Alla fine ce l'ho proprio fatta a fare il danno. D'altronde doveva succedere prima o poi perché non si poteva andare avanti così: bere, fumare e rischiare».
Detto questo, ancora nel profondo buio che mi avvolge, dove ho provato la mia più Grande Paura, sento che le gambe non mi reggono più e mi accascio per terra, la vista comincia a offuscarsi fino a non vedere più niente, e anche il respiro diventa sempre più faticoso.
Da dentro di me sento liberarsi questo gran bisogno di essere aiutato. Solamente aiuto; che qualcuno mi salvi da questo stato di angoscia, che ora però è già più lieve di quello provato prima, quando non sapevo ancora niente. Ora so, ed è già come se metà paura fosse svanita, ma l'altra metà grida disperatamente aiuto.
Un rumore strano sento intorno a me. Come una pompa a mano che soffia aria a ritmo del mio respiro.
«Mara, sei tu! Meno male che sei arrivata, ti voglio tanto bene. Grazie!».
Io non vedo, eppure la vedo bene, anche se è un vedere diverso da quello a cui siamo abituati fisicamente. È proprio bella, con due grandi occhi azzurri, capelli lisci neri a caschetto, molto bassa e minuta, vestita con un maglioncino verde-acqua aderente che fa risaltare piacevolmente il suo seno formoso, un paio di jeans azzurri con scarpe estive senza calze. Solo adesso la vedo così dettagliatamente, forse perché prima non ci facevo caso, penso.
Mara è seduta di fianco a me e mi tiene le spalle e la testa tra le sue braccia e con una mano continua a premere ritmicamente questo palloncino che io so serve per aiutarmi a respirare, anche se non esiste nessun collegamento tra questo palloncino e me. Mara comincia a parlarmi.
«Allora, Alessio, cosa facciamo, cosa vuoi fare?».
«Come, cosa facciamo!», le rispondo.
Che cosa mi sta chiedendo, penso dentro di me.
«Alessio, adesso è arrivato il momento di decidere, di scegliere. Che cosa vuoi fare?».
Ancora non capisco. Che cosa devo scegliere? Io sto male, ho bisogno di aiuto, poi ho voglia di tornare a casa, mi sento lontano, lontanissimo da casa.
«Mara, riportami a casa, ti prego, voglio tornare a casa».
«Alessio, guarda che è lunga tornare a casa, sei proprio sicuro di volerlo?».
Ancora non capisco, ma meno capisco, più mi viene voglia di casa, di tornare indietro. Mi sento solo e lontano.
All'improvviso da questo buio, che ho sempre intorno a me e che non è più freddo e pauroso, ma semplicemente buio, in alto alla mia sinistra-centro vedo aprirsi un grosso ventaglio fino a raggiungere la forma di un perfetto semicerchio. Questo è luminoso, di un verde chiarissimo, e dentro di esso vedo una miriade di visi e mezzibusti uno sopra l'altro come se non ci stessero tutti rappresentati lì dentro. Non riconosco nessun viso perché non riesco a metterne a fuoco nessuno, ma so che sono tutte persone che conosco e mi vogliono bene, ed è come se mi aspettassero. Nel vedere questo mi viene una grandissima voglia di raggiungerle, quindi mi sento convinto della mia scelta come non lo sono mai stato.
«Mara, ho deciso. Portami a casa, adesso».
«Alessio, ti ricordo che se scegli così è lunga tornare a casa. Sei proprio convinto?».
«Sì! Sono pronto a qualsiasi cosa, ma mi devi assolutamente portare a casa, da loro».
Lei sorride e immediatamente chiama due suoi amici, anche se non so come ha fatto, visto che non si è mai mossa da lì, vicino a me.
Arrivano due ragazzi giovani dal chiarissimo aspetto tedesco, a bordo di un furgone Volkswagen anni ’70 color giallo limone.
Comincia quindi il mio viaggio di ritorno: i ragazzi guidano e si danno il cambio ogni tanto per non stancarsi, visto che viaggiamo di notte, e Mara e io dietro, mentre lei continua ad aiutarmi a respirare.
«Mara, ma non siamo ancora arrivati? Quanto manca?».
«Alessio, devi avere pazienza. Non siamo ancora arrivati, ma arriveremo. Stai calmo».
Queste frasi si sono ripetute all'interno del furgone per decine e decine di volte perché il viaggio mi sembrava interminabile. Posso affermare che è stato e forse sarà il viaggio più lungo della mia vita.
Non finisce più. Mi sembra che siano passate giornate intere, quando invece dalla Germania a Monza ci vogliono poco meno di cinque ore, pensavo. Dentro di me i giorni passano e la stessa domanda continua a sgorgare dal mio cuore sofferente.
«Alessio, siamo quasi arrivati, ma ora ci fermiamo per un attimo».
Riesco con sforzo a mettermi seduto per vedere dove siamo, dove finalmente siamo arrivati, e vedo che ci troviamo fermi davanti alla ditta dove lavora mio padre.
Un subbuglio di entusiasmo mi avvolge.
Ce l'ho quasi fatta, ormai mancano pochi minuti a casa. Intanto Mara e i due suoi amici scendono dal furgone per parlare con due persone che penso siano i guardiani del posto, visto che di notte non si lavora. Nell'attesa che finiscano di colloquiare, mi risdraio lentamente e tiro sospiri di sollievo, malgrado il mio corpo sia ancora un po' dolorante.
Dopo non so quanto tempo, comincio a innervosirmi un poco perché la sosta si protrae troppo. Continuano a parlare di cose che non capisco molto bene, ma intuisco che è come se si stessero mettendo d'accordo su qualcosa.
Strano, ho fatto un incidente, sto male e mi devono portare a casa, eppure sono lì tranquilli a discutere ininterrottamente. Non è giusto, penso. Perché non si muovono?
Così nel giro di pochi attimi divento irrequieto e nervoso e dentro di me comincio a sbraitare.
«Se non si muovono me ne vado e li lascio qui, tanto manca pochissimo a casa. Ormai la strada la conosco anch'io».
Detto questo, mi metto seduto e cerco, con difficoltà, di raggiungere il posto di guida. Ci riesco più velocemente di quanto penso perché il mio corpo si muove nella sua completa integrità e trovo tutto ciò naturale. Una volta seduto di fronte al volante mi sento deciso a partire da solo per poter raggiungere casa, ma quasi immediatamente prima di girare la chiave mi coglie un lieve dubbio, e allora comincio a fare delle prove di guida a motore spento.
Vedere ci vedo abbastanza, anche se un poco offuscato, il volante riesco a girarlo, le gambe si muovono lentamente e debolmente e questo fatto mi preoccupa un po' perché i piedi necessitano di agilità scattante per poter guidare il furgone. Allora comincio a ripensarci, e mentre mi accorgo di avere il respiro ancora un po' irregolare e affannoso e di sentirmi molto debole, decido di rinunciare.
Ho già rischiato molto. Perché rischiare ancora inutilmente?
Anche se sono ancora convinto che avrei potuto farcela da solo, mi ricolloco nella parte posteriore del furgone e mi rendo conto che era proprio inutile rischiare, tanto sarei arrivato comunque e con loro mi sento in buone mani, al sicuro. Mi sdraio nuovamente e aspetto ascoltando senza ancora capire i loro discorsi. Tra l'altro mi rendo conto che loro non si sono neanche accorti di quello che ho appena tentato di fare.
A un certo momento ho come il presentimento che si stiano salutando, infatti comincio a comprendere le loro parole, le quali appunto consistono in saluti reciproci. Sì! Finalmente si riparte e siamo anche praticamente quasi arrivati. Sono contentissimo!
Senza cercare di capire o di pormi interrogativi particolari, mi trovo improvvisamente in una grande stanza nella quale al centro è posto un enorme tavolo di legno molto pregiato a forma di ellisse, circondato da moltissime sedie in tonalità col tavolo. La stanza è deserta e buia e noto che l'intera parete di sinistra è in realtà una grandissima vetrata. Io osservo tutto questo dall'alto, come se fossi una telecamera di controllo.
Dopo qualche istante comincio a sentirmi attratto e risucchiato da una di queste sedie e in un nonnulla mi ci trovo seduto. Mi sento piccolo, piccolissimo, tutto rannicchiato su questa grande sedia, anche se il termine più esatto sarebbe accartocciato. È come se mi avessero messo sulla sedia a pezzi e riesco a stare tutto attaccato da una lievissima e minima forza di non so quale genere.
Voglio aprire gli occhi, ma non ci riesco, è come se li avessi sigillati; però continuo a cercare di farlo, e dopo molti sforzi mi concentro un attimo e metto tutta la poca e ultima forza che mi è rimasta in quest'ultimo tentativo. La palpebra destra comincia a muoversi e in quel momento la felicità mi pervade e mi dà anche quell'impulso di forza aggiuntiva che mi fa definitivamente spalancare entrambi gli occhi.
Sopra il mio capo vedo il viso di mio padre, che sorride contentissimo e mi accarezza la testa, e ovunque intorno a noi, in tutta la stanza, una luce bianca splendente ci avvolge ed è così splendida che il suo tepore sembra penetrare nelle nostre carni. È così radiosa e densa da essere quasi palpabile: sembra una luce VIVA.
Rivolgo la mia attenzione alla vetrata di sinistra perché è da lì che entra tutta questa luce piena di energia. La guardo e mi lascio come ipnotizzare e coccolare da essa, mi lascio investire da questo colore candido mai visto prima, mi lascio nutrire da questa energia spontanea che dentro di me ha provocato uno stato di pace e felicità mai raggiunto prima. Ed è proprio da questo stato interiore che sento nascere una frase che devo assolutamente dire, pronunciare e non tenerla dentro.
“Ce l’ho fatta!, finalmente ce l’ho fatta, sono arrivato!”
Mi sono commosso in una maniera unica nel pronunciare queste parole, queste affermazioni. Ora mi sento libero con un senso di conquista immenso e una pace che non è né interiore né esteriore ma semplicemente UNICA con tutto.
«Ecco, questo stato d'animo deve essere sicuramente il Paradiso, quel Paradiso tanto immaginato e interpretato in mille modi da tutti quanti gli esseri umani», penso dentro di me.
Posso affermare che questa stupenda luce ha provocato dentro di me la completa soddisfazione e pace di tutti i sensi, quindi rimango ancora un po' lì, su quella sedia, a godere di questa meravigliosa magnificenza.
Ancora una volta mi ritrovo a cambiare posto senza rendermi conto o ricordarmi dello spostamento effettuato. È come se da un istante all'altro cambiasse il luogo in cui sto vivendo, è come se non esistesse né un riferimento di spazio né un riferimento di tempo. Tutto questo però non mi turba affatto, mi rendo conto dell'improvviso cambiamento, ma questo modo di esistere mi sembra assolutamente naturale, come un oggetto che cade per terra, senza che ciò faccia sorgere domande o dubbi di alcun genere.
Sono nudo e seduto comodissimo su una poltrona in pelle color chiaro, come lo è tutto intorno a me. I muri, l'arredamento, gli oggetti e anche l'aria che respiro li vedo di un colore rosa chiarissimo, splendente.
Mi sento ancora in quello stato di pace rilassante e mentre aspetto, non so cosa, mi rendo conto che mi trovo in un ospedale. L'essere in un ospedale non mi stupisce e non mi spaventa, anche se dovrebbe, visto che in questo momento io sto benissimo, non ho nessun problema, sono in perfetta forma, il mio corpo lo vedo e non ha un graffio.
A un certo momento vedo avvicinarsi un dottore, anche lui splendente di questo rosa luminescente, si inginocchia di fronte a me e comincia a spiegarmi.
«Vedi, Alessio, tra poco dobbiamo operarti e andrà tutto bene, però adesso devo metterti questo tubo in bocca».
Prende il tubo bianco e largo e me lo infila in bocca giù per la gola. Mi fa male ed è proprio insopportabile resistere in questa condizione, tant'è che, nel momento in cui il dottore si volta, io con la mano destra afferro il tubo e lo strappo via da me. Il dottore se ne accorge e mi dice:
«Va bene. Se proprio non riesci a tenerlo ti operiamo subito. Adesso alzati e raggiungi quel corridoio dietro di te e lì aspetta l'anestesista, intanto io vado a preparare la sala operatoria».
Raggiungo questo corridoio, anch'esso totalmente dipinto di rosa chiarissimo radiante e invaso da una specie di nebbiolina palpabile bianco-rosata, e aspetto osservando intorno. Vedo avvicinarsi una persona in camice, splendente come il dottore di prima, e mi dice che è l'anestesista.
Lo osservo attentamente e vedo che dal taschino del suo camice tira fuori un foglietto di carta con sopra degli adesivi. Nestacca uno della grandezza di un'unghia a forma di cuore, color rosso sangue, e me lo appiccica sul capezzolo sinistro dicendomi:
«Questa è l'anestesia, aspetta che faccia effetto e poi ti verremo a prendere».
L'anestesista se ne va e rimango di nuovo solo in quel corridoio ad aspettare.
Aspetto e aspetto fino a che comincio a sentirmi strano. Strano nel senso che sono completamente cosciente e sveglio, ma il corpo lo sento alleggerirsi e muoversi lentamente e dolcemente in tutte le sue parti. È come se stessi danzando al rallentatore e in completa armonia con tutto. Mentre faccio questo, comincio ad avvertire come uno strano richiamo che proviene dal muro; mi sento attirato dalla parete sempre e sempre di più, fino a che mi metto con la faccia al muro con le braccia allargate e i palmi delle mani appoggiati alla parete.
Adesso sono immobile e sento il corpo perdere di consistenza, anche se lo vedo sempre uguale. Perdere consistenza a tal punto che mi sembra di diventare sempre più poroso; vedo la mia mano sinistra che comincia a sprofondare nel muro. Mi spavento e la tiro subito indietro, ma successivamente capisco che non c'è niente di male e non devo aver paura di questo fatto, quindi la riappoggio subito sulla superficie, anche perché da questa parete mi sento risucchiato più che attirato.
Le mani, prima una poi anche l'altra, cominciano a sprofondare nel muro e io le lascio andare dove vogliono. Si muovono all'interno del muro come se lo accarezzassero a livello tridimensionale e questo mi piace moltissimo: è una sensazione che non avevo mai provato prima d'ora. A un certo punto sento una grande forza che da dentro di me vuole uscire attraverso il petto e, anche se vedo il mio corpo tutto normale, ho come l'impressione che mi si stia aprendo all'altezza del cuore. Questa forza, man mano che esce dal mio petto e lo allarga sempre di più, si dirige all'interno del muro trascinandomi con essa e quindi piano piano entrano il mio busto, le mie gambe e infine la mia testa fino a che sono completamente entrato.
Azzarderei a definirla la sensazione più bella e strana che esista. Faccio parte del muro, mi muovo entro di esso, sento la totalità delle mie cellule mescolarsi con le molecole che compongono il muro. È troppo bello, non tanto per la sensazione di mescolamento, ma per questa consapevolezza di esistenza di tutte le cellule del mio corpo. Le sento tutte, proprio tutte, singolarmente UNA per UNA.
È meraviglioso!
È strano, sono confusissimo. Non riesco a capire niente, né dove sono, né cosa è successo, nemmeno cosa sono. Sento rumori di ogni genere echeggiarmi nella testa, e poi una grandissima sensazione di pesantezza mi toglie la voglia di tentare un benché minimo movimento.
Ho un senso di nausea di natura non proprio fisica, poiché non sento il minimo dolore provenire dal corpo. Mi sembra di passare in continuazione dallo stato cosciente a quello di sonno e ogni volta che mi risveglio trovo sempre tutto più strano.
Mi rendo improvvisamente conto di essere sdraiato con gli occhi chiusi e di avere qualcosa in bocca che non mi permette di chiuderla e nemmeno di parlare. No! Ho di nuovo un tubo che mi arriva fino alla gola e tra l'altro è anche più fastidioso delle altre volte.
È vero, ho fatto un incidente in moto e poi ricordo il dottore e l'anestesista, quindi adesso mi sto risvegliando dall'operazione; adesso comincio a capire, a essere un pochettino più lucido sull'accaduto. E’ il mio risveglio nel corpo.
(continua)
Premorte testimonianza di Alessio Tavecchio premorte parte seconda sono parole di Alessio Tavecchio www.alessio.org
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